top of page
Lucrezia Migo

"We are all prostitutes!": i nostri bias culturali sulla prostituzione

di Lucrezia Migo


Questo articolo è la continuazione dell’articolo “Penis Envy di The Crass" pubblicato precedentemente in Femminismi Contemporanei , consultabile qui:


Il principio cardine dell’Illuminismo era il liberalismo (non in senso contemporaneo): quest’idea si basa(va) su un principio totalmente nuovo per la società, ovvero il concetto di tolleranza nei confronti delle idee altrui, non di accettazione, ma di civile convivenza. Non è un caso che nel 1860 divenne legge in Italia, su decisione di Cavour, di aprire le “case di tolleranza”, proprio perché tollerate dallo Stato. La prostituzione femminile si rivolge a un pubblico estremamente più ampio, composto da classi sociali varie e perciò da possibilità economiche diverse, mentre quella maschile si rivolge a un pubblico più ristretto. Sono diversi anni però che Jacqueline Sanchez Taylor, docente alla University of Leicester, sta conducendo degli studi sul double-standard relativo al turismo sessuale maschile e quello femminile e alla percezione che quest* “turist*” hanno delle loro azioni e dei rischi (soprattutto in termini di salute) che incontrano. Sanchez Taylor ritiene che il potere economico di questa clientela e la sua origine occidentale siano degli elementi che non possono essere trascurati da tale analisi sociale e culturale: che si tratti di uomini o donne, il potere economico che queste persone esercitano su chi fornisce loro il servizio di prostituzione, è uguale. Sanchez Taylor sta cercando di rendere nullo il double standard che vede le donne-clienti in questa situazione come delle “vittime”. Il problema in questo contesto è sicuramente il risultato del pensiero occidentale che vede nei paesi del secondo e terzo mondo e nelle loro popolazioni delle opportunità di sfruttamento umano.


La liberazione sessuale è stata una grande vittoria sociale e la possibilità odierna finalmente di concepire in maniera del tutto normale il sesso non procreativo e non matrimoniale ne è l’esempio più chiaro. Credo però che i “cattivi” insegnamenti di Freud siano rimasti saldi nella cultura contemporanea (io posso parlare per quella occidentale); siamo più liber* sessualmente, ma sappiamo veramente fare sesso in modo appagante e di qualità? Quanto è stereotipato il sesso? Una volta l’atto sessuale obbligato e visto come necessario a tutti i costi, quindi sfruttando anche l’offerta data dalla prostituzione, era riservato principalmente all’universo maschile (eterosessuale e omosessuale), oggi si è fatto più presente anche nel mondo femminile (anche se rimane comunque elitario ed economicamente proibitivo per la maggior parte delle donne). L’orgasmo è fondamentale per la serenità di una persona, l’atto sessuale con qualcun’ altr* forse lo è un po’ meno? Intendo dire che si è sempre più diffusa l’idea che il non avere una vita sessuale con altre persone, invece di averla solo con sé stess*, sia una sorta di deficit nella vita di una persona. È molto importante frequentare altre persone, fare tranquillamente e con le giuste precauzioni del sesso occasionale e non, ma “fare sesso” non deve diventare un dogma, tanto quanto un tempo lo era non farlo. Può il nostro desiderio incontrollabile (lo è davvero?) di fare sesso essere sopperito da qualcun* a pagamento? O meglio, è giusto che lo sia? È sicuramente giusto tutelare e dare delle garanzie alle persone che esercitano tale professione, ma un dibattito culturale sulle ragioni dei/delle clienti è d’obbligo. La prostituzione come professione però non può essere valutata escludendo i fattori culturali che la caratterizzano e le ragioni per cui esista; sarebbe corretto più che chiedersi perché una persona decida di prostituirsi, chiedersi piuttosto perché una persona decida di usufruire di tale servizio. In un paese come l’Italia, l’atto di andare a prostitute ha una forte valenza culturale nel mondo maschile e patriarcale, poiché viene visto come una sorta di iniziazione alla vita da uomo o come un atto goliardico-cameratista o come la scelta di una persona disperata necessitante di sesso. Chi paga per fare sesso, dovrebbe come minimo dimostrarsi rispettos*nei confronti della persona che offre questo servizio.

Immagino utopisticamente un mondo dove la prostituzione sia regolamentata e sia una professione a tutti gli effetti, con un sindacato, un tariffario, un codice deontologico, un’assicurazione, delle garanzie sia per i/le sex workers e per la clientela, norme igienico-sanitarie da rispettare ecc, e con una società libera da pregiudizi e stereotipi sessuali, dove chi decidesse di usufruire di questo servizio lo farebbe nel pieno rispetto della persona coinvolta, senza lasciarsi andare a facili commenti dispregiativi e irrispettosi della persona con il resto della società: perché dovrebbe essere ritenuta sbagliata o insensata come professione?


Mi chiedo dunque: e se tutt* quant*, in realtà, ci prostituissimo ogni giorno della nostra vita, ma in maniera diversa? Dove possiamo tracciare il confine tra lavoro onesto e regolare? Dove finisce la scelta libera e dove inizia la coercizione? Chi detiene il “registro” del lavori accettabili dalla società? Chiedere alle persone di lavorare a certe condizioni è o non è sfruttare il loro corpo e la loro anima? Quanto possiamo soffocare le nostre idee per il quieto vivere o per ottenere dei favoritismi o per opportunismo? Vi propongo di provare a pensare alle vostre esperienze personali, di lavoro, di studio, sentimentali: vi è mai capitato di trovarvi nella situazione in cui le vostre qualità e capacità fossero trascurate o ignorate per accontentare qualcun’altr*? Non deve per forza trattarsi sempre di vendere il proprio corpo nel senso più classico del termine per parlare di sfruttamento, ma anche la nostra mente fa parte del nostro corpo. Ho proposto molte domande in questo articolo, poiché io stessa non pretendo di avere risposte da dare, ma mi farebbe piacere sapere di aver provocato, anche in poche persone, una riflessione su questo tema, senza dogmi e senza preconcetti morali.


Nell’articolo precedente abbiamo detto che The Crass e The Poison Girls credevano in un certo tipo di utopia sociale, ma è inutile, al momento, fare ipotesi sulla base di realtà non esistenti, bisogna invece lavorare su quanto sta avvenendo ora e ciò che avviene ora è che per la maggior parte delle donne continua a essere un lavoro pericoloso e senza garanzie. Ritengo che sia poco coerente, in un sistema economico liberista e capitalista, voler escludere la professione della prostituzione da questo sistema; sono diventate professioni vere e proprie le più svariate attività umane, quindi sarebbe sensato rendere regolare anche la prostituzione: solo nel momento in cui dovesse crollare il sistema economico vigente e presentarsi una nuova realtà economica, potremo allora ragionare su quali lavori siano leciti o fino a che punto possa spingersi la vendita del corpo umano, ma finché vivremo in una società nella quale la mercificazione è al primo posto, mi sembra più che doveroso permettere a queste persone di svolgere questa professione (se è ciò che desiderano davvero) in sicurezza e con tutti dovuti riconoscimenti, come avviene già da tempo nel mondo delle produzioni pornografiche. Un giorno forse non solo non esisterà più il sistema economico che vige ora, ma avremo magari delle generazioni capaci di affrontare la sessualità meglio di noi, più informate e più consapevoli e meno stereotipate.


Fonti:




https://www.humanityinaction.org/knowledge_detail/just-business-the-unknown-world-of-male-prostitution-in-the-netherlands/


Bruno Wanrooij, PhD, "Italy (Repubblica Italiana)," Continuum Complete International Encyclopedia of Sexuality, Eds. Robert T. Francoeur, PhD, and Raymond J. Noonan, PhD, Kinsey Institute, 2004



27 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comentarios


bottom of page