Le sue inadeguatezze e lacune
Di Emma Casarin
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In ritardo di un anno è finalmente uscito il “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-23”. Se da una parte il titolo promette bene, un’attenta analisi ne fa emergere ancora una volta le inadeguatezze. A questo proposito l’assemblea transfemminista Non Una di Meno Venezia assieme alla Cooperativa sociale Iside, ha deciso martedì 22 febbraio di mettere a frutto le sue esperienze per analizzarne attentamente il contenuto.
La cooperativa sociale Iside si occupa da moltissimi anni di offrire sostegno alle donne nel loro percorso di uscita dalla violenza. Questo aiuto non viene solamente attraverso i Centri Anti Violenza che gestiscono a Mestre, Castelfranco Veneto e a Noale ma anche grazie ad una lunga serie di aiuti legali, psicologici di “ascolto e accoglienza” . La cooperativa sociale Iside collabora da moltissimo tempo con l’assemblea Non Una di Meno Venezia. Assieme militano da anni per promuovere una maggior consapevolezza nei confronti della violenza di genere. A partire da questa lunga collaborazione è nata l’idea di organizzare un incontro di autoformazione, come pratica femminista di educazione orizzontale. L’obiettivo principale di questo tipo di apprendimento è promuovere un nuovo tipo educazione e informazione che non sia più basato su rapporti di potere, che creano una gerarchia tra studente e insegnante, ma piuttosto sulla costruzione di un rapporto di scambio reciproco di esperienze e conoscenze. I processi di produzione e trasmissione dei saperi dovrebbero quindi essere determinati da chi quotidianamente li vive, instaurando reti mutualistiche territoriali assieme ai CAV, ai consultori e alle associazioni transfemministe.
Durante questo incontro sono stati sviluppati moltissimi punti a partire dalle criticità di questo piano, ne analizzerò solamente alcuni con lo scopo di dimostrare come la narrativa attuale della violenza e come l’inadeguatezza delle istituzioni siano problematiche. In particolare: come il piano concentri la sua attenzione sulla distinzione per nazionalità, come l'unica parte più pratica del piano presenti delle grandi lacune per quanto riguarda l'educazione, e infine come il ruolo dei centri antiviolenza venga liquidato in poche righe.
Il piano strategico è diviso in più parti, a partire da una sezione dedicata al delineamento del contesto e a seguire da una che stabilisce quali sono gli impegni che si prefigge il piano, divisi in assi, per poi continuare con le modalità di attuazione e di cooperazione previste per la messa in pratica dei punti precedentemente spiegati.
Dopo una lunga serie di riferimenti a tutte le convenzioni e normative passate, il piano spiega in cifre la situazione attuale della violenza maschile. Tra questi dati ciò che colpisce di più non è solo il grandissimo numero di donne che hanno subito violenza ma soprattutto la parte in cui viene descritto il “profilo tipo” degli autori della violenza. L’autore è prevalentemente italiano: gli stupri subiti dalle donne italiane sono stati commessi da italiani nel 81.6% dei casi, per le vittimi straniere l’autore della violenza invece è una volta su due un connazionale, esclusi i casi meno gravi di violenza dove invece l’autore è prevalentemente italiano. La violenza appare quindi essere perpetrata tra connazionali, nella grande maggioranza dei casi. La domanda che sorge spontanea è: perché, quindi, risulta necessario specificare la nazionalità dell’autore? Perché la prima distinzione che il ministero decide di fare è proprio quella basata sulla nazionalità? Questa scelta mostra in modo sconcertante la necessità, da parte dell'élite politica, di inserire la violenza all’interno del fenomeno dell’immigrazione, con il quale però i dati mostrano non esserci nessuna relazione, se non nel caso della violenza subita dalle donne straniere nel processo di immigrazione. Esiste però la falsa narrativa secondo cui “gli immigrati vengono a stuprare le nostre donne”, che non solo risulta, dallo stesso testo, totalmente infondata, ma esercita un fortissimo condizionamento sociale sulle vittime: “La quota di vittime di stupro da un autore straniero che dichiara di aver sporto denuncia è infatti sei volte più alta rispetto al caso in cui l’autore è italiano”. Le vittime perciò, si sentono più a loro agio nel denunciare se l’autore della violenza è straniero, sapendo che la loro istanza verrà molto più facilmente accolta e percepita come vera, poiché rientra nell’immaginario collettivo dello stupro. Questo fattore, assieme all’assenza di un’educazione e informazione sulla violenza, sì che solo il 35,4% delle vittime ritenga di aver subito un reato. Le forme più gravi di violenza, infatti, sono esercitate da partner (62.7%), parenti (3.6%) o amici (9.4%) ma, nonostante ciò, il soggetto che risulta più facile identificare colpevole resta lo straniero. Se da una parte il Piano sulla violenza maschile sulle donne dimostra come il falso mito dello “straniero stupratore” sia, appunto, un mito, dall’altra questa distinzione per nazionalità degli autori della violenza sembra suggerire che gli stessi autori del testo ne siano influenzati.
Quali sono, però, gli impegni che lo Stato si prende per trovare una soluzione a questi dati lo troviamo nella parte numero tre: “assi, priorità e aree di intervento”. Ciò che è emerso dall’analisi è la mancanza di praticità, che si spera arrivi nel piano programmatico, e l’inadeguatezza delle azioni previste. Tra queste cito il ruolo che viene affidato all’educazione, che prevede in ambito universitario formazione sulla violenza di genere solo per professioni che hanno a che fare con la violenza in prima persona, o come ha detto una compagna di Non Una di Meno “solo per chi vede i lividi” (medicina, psicologia, giurisprudenza). Tutti gli altri corsi, scienze politiche e diritti umani ad esempio, non sono nemmeno nominati. Eppure, non sono forse i politici a redigere questi piani? E non ci sono forse forme di violenza non visibili, ma non per questo meno gravi?
L’inadeguatezza delle azioni previste per l’educazione come abbiamo visto non è la sola che emerge in questo piano. Ecco, ora, l’ultimo punto che ho deciso di analizzare: il ruolo marginale attribuito ai Cav. Durante l’autoformazione è emerso che nei tavoli di lavoro, i Centri antiviolenza avevano chiesto una maggior presa in considerazione del loro ruolo nel percorso di uscita dalla violenza, al fine di creare una rete vera e propria con tutti gli altri attori (1522, pronto soccorso, consultori etc.) che permetterebbe un’azione più efficace coordinando i servizi. Nonostante ciò, analizzando il piano risulta evidente come questa volontà venga liquidata in poche, vaghe parole: “valorizzare le relazioni tra gli enti territoriali, centri antiviolenza e le case rifugio”. Nel piano infatti, i Centri Anti Violenza vengono inseriti all'interno della categoria "associazionismo femminile" della quale in realtà fanno parte moltissime altre associazioni con ruoli diversi. Nonostante dunque la lotta di rivendicazione che i Cav hanno fatto per vedersi attribuire il ruolo centrale che effettivamente hanno, questa viene totalmente ignorata preferendo piuttosto inserirli all'interno della categoria più grande di associazioni. Il riconoscimento da loro richiesto non è una questione meramente morale ma piuttosto necessaria perché possano più facilmente avere accesso a tutte le reti di sostegno e agli altri enti che si occupano di fornire aiuto alle vittime.
Le ambiguità e problematiche di questo testo sono molteplici, e quelle di cui ho scelto di scrivere sono solo alcune. Tutte le altre sono altrettanto importanti e vi invito perciò a leggere voi stessə il piano e a condividere con noi quali sono, a vostro parere, gli altri punti critici.
Adesso che ho fatto emergere alcune delle criticità venute fuori durante l’incontro, non ci resta che aspettare il piano programmatico e nel frattempo militare perché la nostra voce venga ascoltata, per questo vi invito in piazza #lottomarzo a far tremare il patriarcato tutt* assieme! Tra noi sarà presente la Cooperativa Iside stessa, se volete perciò non esitate a scambiarci due parole. Vi sapranno raccontare la realtà della lotta alla violenza di genere, e spiegare le reali, pressanti necessità di chi cerca di sfuggire ai violenti.
Fonti:
Non Una Di Meno, Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere (2020), 15
Presidenza del Consiglio dei ministri dipartimento pari opportunità, Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-23 (2022), 4, 17, 18, 53
Istat, La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia (2014), 2, 4
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