“Cosa vuoi fare dopo l’università?”.
Ogni volta che qualcunə, generalmente molto più grande di me, mi rivolge questa domanda avverto una contrazione quasi involontaria dei muscoli.
Il futuro è malleabile e dinamico, eppure il personalissimo ponte che si estende tra il mio presente e il mio futuro sembra fatiscente e immobile. Sono giovane, quindi precaria. Potenzialmente circondata da infinite possibilità e di conseguenza da nessuna.
Come tantз prima e dopo di me, vago da una città all’altra per rivendicare il mio spazio e cercare un posto nel mondo. Ora vivo a Venezia, una delle città d’arte per antonomasia. Sicuramente arte e cultura in Italia non scarseggiano, ma da sole non sono sufficienti per pagare le bollette. Prima di trasferirmi, moltз mi hanno detto “Venezia sembra una bomboniera", cristallizzata nella sua antica bellezza, avvolta da un fermento culturale ormai sbiadito.
Tuttavia, dal momento che ho imparato a non cedere debolmente alle prime impressioni, mi sono domandata: “Cosa fai a Venezia se sei giovane, ti interessa la cultura e magari vorresti anche lavorarci?”.
La prima via, quella classica, percorre il sentiero istituzionale.
In Italia non siamo nuovə a manovre politiche volte a relegare la cultura alla periferia della coscienza collettiva, ostinandosi a dipingerla come attività non produttiva. Non a caso il lavoro a tempo parziale è la seconda forma più diffusa nel settore culturale. La quota di occupati part-time supera del doppio il totale generale. Tuttavia, i musei dovrebbero avere in agenda la promozione della centralità dellз professionistз dei beni culturali. Scavo nella mia memoria e ricordo che l’ultimo museo che ho visitato è la Collezione Peggy Guggenheim. Girovagando sul sito, mi imbatto nella sezione dedicata al programma internazionale di tirocinio per studentз e neolaureatз. La pagina web recita: “il programma si rivolge a giovani che desiderano scoprire il dietro le quinte del museo in un contesto dinamico e cosmopolita”. Penso che suona come uno slogan pubblicitario. Mi ripeto che non devo fermarmi all’apparenza, al sito-vetrina, e mi metto in contatto con la responsabile dei tirocini. Fisso un’intervista telefonica, all’altro capo la voce vivace di Federica Gastaldello, che si presenta. Mi dice che anche lei è stata una tirocinante qualche anno fa e che il programma, che prima della pandemia vedeva un afflusso da 25 a 35 studentз al mese, attualmente è ridotto ad un quindicina.
Penso: non tantissimз, ma forse è meglio così.
Federica mi spiega che il monte ore è di 32 settimanali e non è imposto alcun limite d’età:
generalmente chi aderisce ha tra i 20 e 25 anni, ma aggiunge che quest’anno una delle tirocinanti ha 50 anni.
Penso: il binomio giovane e precariз non è assoluto.
Mi sposto sul piano un po’ più pratico. Il sito riporta: “la retribuzione per gli studenti internazionali di €800 è designata alla copertura dei costi dell’affitto e di alcune spese di vitto”. Leggo che “i tirocinanti riceveranno una lista di stanze e appartamenti disponibili, il cui costo di solito è compreso tra €400 e €1000 al mese a persona”. Le cifre mi destabilizzano, ma Federica mi rassicura sul fatto che lз partecipanti al programma non sono in alcun modo tenutз ad alloggiare presso queste strutture.
Le domando se al termine del tirocinio sia prevista l’assunzione con contratto regolare e se può fornirmi una percentuale orientativa sulle assunzioni dell’anno precedente.
Mi spiega che il programma non prevede propriamente l’assunzione, la quale dipende dalla disponibilità di posizioni aperte, ma che il museo può aiutare nella ricerca del lavoro o offrire collaborazioni per progetti più specifici. Non sa darmi informazioni sul tasso di assunzioni, ma ricorda che l’anno precedente è stato sicuramente assunto unə tirocinante.
La brochure riporta: “una delle peculiarità del programma consiste nella varietà e alternanza di incarichi e nel fatto che nessuno venga assegnato a un singolo dipartimento o progetto: i tirocinanti preparano le gallerie prima dell’apertura, sono di guardia nelle sale, rispondono alle domande del pubblico, vendono biglietti e chiudono il museo a fine giornata”.
Penso: come faccio a specializzarmi se faccio tutto e niente? Proseguo e mi rassereno un po’: “il programma di tirocinio prevede inoltre attività formative quali seminari, conferenze, viaggi didattici e visite guidate appositamente programmate per gli stagisti al fine di facilitare la pratica, il confronto e l’approfondimento delle rispettive competenze accademiche e professionali.”
Sono ancora al telefono con Federica, con cui approfondisco la possibilità di ricevere delle borse di studio. Ogni anno, infatti, sei candidatз vengono selezionatз per partecipare al programma con uno stipendio maggiore. Le borse di studio sono finanziate da donatrici e donatori che, unitamente al Dip. Educazione, stabiliscono i criteri di assegnazione delle stesse in base alle abilità e agli interessi dellə candidatə.
L’ultima mia domanda non può che riguardare le donne, tradizionalmente svalutate nel mercato dell’arte: viene adottata una prospettiva di genere nella selezione dellз tirocinantз?
Federica mi spiega che, paradossalmente, si riserva maggior attenzione e tutela agli uomini, poiché coloro da cui si ricevono meno domande di partecipazione. Le tirocinanti che aderiscono ammontano, infatti, all’85-90%.
Concludo l’intervista e passo quindi alla seconda via, quella degli spazi non istituzionalizzati.
La mia mente viaggia verso Santa Croce, dove, in Lista Vecchia dei Bari, c’è un salone non molto grande, con libri e CD poggiati sulle finestre, rivolti in direzione della calle. È About, un’associazione culturale di cui mi ha parlato un amico veneziano. Ci vado il giovedì, che so essere il giorno preposto all’apertura settimanale. La serata è dedicata al progetto Portineria di Sestiere Venezia, uno spazio di ascolto, supporto e primo sostegno allз cittadinз più fragili. Cerco Nicholas, uno dei membri che conoscono l’associazione da più tempo e che avevo contattato nei giorni precedenti tramite la pagina Facebook di About. Seduti al tavolo e con la musica in sottofondo, mi racconta che lo spazio nasce nel 2015 e che in origine era un’ex macelleria gestita dalla storica famiglia Da Tos, il cui attuale proprietario è un loro discendente. Il primo nucleo da cui About nasce è costituito da sole 6 persone, intenzionate ad affittare uno spazio in affitto in cui proporre attività culturali e dedicarsi a un coworking urbanistico. Quest’ultimo progetto ha vita breve, ma sopravvive l’idea di creare una forte dimensione sociale sul territorio: l’associazione, infatti, ospita progetti e personalità diverse, cercando di tessere legami e collaborazioni con le varie realtà locali.
Gli chiedo se capita spesso che ricevano proposte da chi è esternə all’associazione.
“Credo che a Venezia manchino un po’ gli spazi, quindi è molto facile che chi ha qualcosa da proporre venga qui” risponde. Mi spiega che gli eventi promossi spaziano, ma seguono sempre una linea ben precisa, volta al confronto con l’esterno e alla necessità di creare aggregazione, soprattutto all’interno del quartiere. In un primo momento le attività si limitavano al Mercato dei Bari, offrendo uno spazio di vendita a produttorз locali, ma ora si estendono a laboratori di falegnameria, mostre d’arte con conseguenti aste, banchetti di artigianato locale, presentazioni di libri o semplici serate in cui ogni oratore può parlare di ciò che vuole. L’attenzione si sposta sullз giovani, in particolare sullз studentз, che sembrano frequentare sempre meno questi spazi: le ostili politiche universitarie, concentrando la maggior parte delle sedi e degli alloggi nella zona ovest della città, rendono la vita difficile ai piccoli spazi culturali come questo, isolandoli.
Saluto Nicholas e lascio il tavolo per tornare a casa. È ora di tirare le somme: Venezia è sicuramente una città d’arte, ma è una città per lз artistз?
Nella mia circoscritta ricerca mi dico che no, che forse soprattutto nella cultura si sacrifica troppo, costrettз a scegliere tra tirocini con mansioni destinate al personale in forza ai musei o costruirsi un percorso autonomo, diventando manager di se stessз e inventandosi il tempo per fare ricerca e di professionalizzarsi.
Venezia sarà anche una città d’arte, ma forse i suoi spazi non sono pensati per noi.
Giusy Neri
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