Di Giusy Neri
La prima volta che ho sentito parlare del Rojava e del confederalismo democratico stavo chiacchierando con un ragazzo appena conosciuto. Con fare curioso, ho chiesto di spiegarmi un po’ a grandi linee di cosa si trattasse.
“Ma è un’utopia”, ricordo di aver detto.
“Beh, sì, ma un’utopia vera, concreta”.
Il Rojava è una regione della Siria del Nord-est dichiaratasi indipendente nel 2012 (ma non ufficialmente riconosciuta dal governo), durante la guerra civile siriana, a seguito della ritirata delle forze governative da tre zone a popolazione prevalentemente curda: Ğazīra, Kobânê e ‘Afrīn. Queste ultime costituiscono, di fatto, i tre cantoni nei quali è suddivisa questa striscia di terra. Oltre al suo passato, l’aspetto più straordinario del Kurdistan siriano è senza dubbio costituito dal presente che, giorno dopo giorno, si continua a costruire: in Rojava è infatti in atto una vera e propria rivoluzione, realizzata a partire da un paradigma noto come confederalismo democratico, a sua volta regolato da un contratto sociale, la Carta del Rojava. Nonostante sia stata la resistenza da parte delle Yekîneyên Parastina Gel (YPG) e delle Yekîneyên Parastina Jin (YPJ) contro Daesh a Kobane a far conoscere al resto del mondo la lotta del popolo curdo, le idee che animano il processo rivoluzionario hanno inizio negli anni Settanta, con la fondazione del Partîya Karkerén Kurdîstan (PKK). È infatti il leader del PKK, Abdullah Öcalan, ad essere il teorico del confederalismo democratico, un modello di autogoverno di partecipazione dal basso che vede i suoi pilastri fondanti nella democrazia radicale, nell’ecologismo e nella liberazione delle donne.
Da quando ho cominciato ad informarmi sul Kurdistan, la rivoluzione delle donne ha sempre più attirato la mia attenzione: le donne curde non stanno soltanto combattendo contro Daesh, ma stanno anche distruggendo il sistema patriarcale.
L’autodeterminazione delle donne non rappresenta una mera parte del processo rivoluzionario, ma ne costituisce il fulcro vero e proprio:
Da questa relazione [tra donna e uomo] derivano tutte le forme di relazione che alimentano ineguaglianza, schiavitù, dispotismo, fascismo e militarismo. Se vogliamo interpretare il vero significato di parole come uguaglianza, libertà, democrazia e socialismo che usiamo così spesso, dobbiamo analizzare e smontare la vecchia rete di relazioni che è stata tessuta intorno alle donne. (Öcalan 2013)
L'oppressione della donna, definita “lo schiavo più antico”, non soltanto ha un carattere fortemente sistemico, ma costituisce la base di tutte le altre forme di schiavitù. Infatti, “il sistema di fatto riproduce se stesso nell’individuo maschile e femminile e nella loro relazione. Per questo, se vogliamo sconfiggere il sistema abbiamo bisogno di un approccio radicale, nuovo, nei confronti della donna, dell’uomo e della loro relazione”. (Öcalan 2013)
Affinché si possa decostruire la squilibrata relazione di potere tra i generi è necessario avviare quella che Öcalan definisce la “terza rottura di genere”: uccidere il maschio dominante. Assimilando quest’ultimo al sistema e, per estensione, allo Stato e al principio patriarcale di subordinazione della donna, Öcalan aspira a quel “divorzio totale” da una mascolinità fondata sulla cultura del dominio maschile:
Non è la donna, ma l’uomo che si rifiuta di cambiare. Teme che abbandonare il ruolo della figura di maschio dominante lo lascerebbe nella posizione di un monarca che ha perso il suo regno. Dovrebbe essere reso consapevole del fatto che questa forma di dominio assolutamente vuota lo lascia privato anche della sua libertà e, peggio ancora, ipoteca la riforma. (Öcalan 2013)
La rivoluzione delle donne del Rojava è dunque volta alla liberazione della società tutta, poiché comporta simultaneamente la liberazione dell’uomo. È necessario che il genere maschile partecipi attivamente al lavoro di cura e a quello riproduttivo: a questo scopo sono istituite accademie all’interno delle quali decostruire i privilegi e le strutture mentali basate sul sistema patriarcale.
Se una società nuova può essere possibile soltanto attraverso la liberazione della donna, definita la componente fondamentale della democratizzazione, devono essere le donne a “determinare il proprio obiettivo democratico e dare luogo all’organizzazione e allo sforzo per realizzarlo.” (Öcalan 2013) Proprio per questo non c’è ambito in cui le donne non abbiano la possibilità di riunirsi e organizzarsi autonomamente per stilare una personale agenda politica. In quest’ottica, il principio dell’autodifesa rappresenta un cardine sia a livello individuale che nazionale, poiché si scaglia violentemente contro la narrazione patriarcale che vuole le donne come inermi oggetti da difendere.
La rivoluzione del Rojava non è un’eccezione o un caso isolato. È la rivoluzione di tuttз coloro che sognano una vita libera e ogni giorno lottano per essa. “Il sangue che le combattenti versano in prima linea contro Daesh, e contro tutti i nemici che rappresentano la mentalità statale e patriarcale, è il sangue di tutte noi. Lo stesso che scorre nelle vene della rivoluzione delle donne in tutto il mondo.” (Istituto Andrea Wolf 2022) Pensare a quello che quotidianamente lз compagnз del Kurdistan stanno costruendo mi dà forza e speranza, mi ricorda che la rivoluzione non è solo teoria o immaginazione, ma che viene messa in pratica giorno dopo giorno.
Jin, Jîyan, Azadî!
Donna, Vita, Libertà!
Riferimenti bibliografici:
Istituto Andrea Wolf, Jin, Jiyan, Azadi. Napoli: Tamu, 2022.
Abdullah Öcalan, Liberare la vita. La rivoluzione delle donne. Torino: Tabor, 2019.
Carta del contratto sociale del Rojava:
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