La mattina del tre maggio scorso ho partecipato ad un incontro organizzato dal collettivo LiSC e da Ca’ Foscari con Veronica Gago, una delle fondatrici del movimento Ni Una Menos. L’evento rientrava nel tour di presentazione del libro “La potenza femminista. O il desiderio di cambiare tutto”, edito da Capovolte.
Sono arrivata a San Basilio con un misto di soggezione ed eccitazione dovuto alla possibilità di ascoltare di persona Veronica, che si è però presto mutato in curiosità e ammirazione. La soggezione è evaporata appena ha preso parola. Nonostante teoricamente a tutt* noi sia chiaro che fra student* e professor* non dovrebbe esserci altro che rispetto reciproco, è innegabile che nelle università italiane persista ancora una certa deferenza nei confronti di chi sta dietro la cattedra. Veronica, oltre ad essere attivista militante, è fondatrice della casa editrice indipendente Tinta Limón, coordinatrice del Grupo de Investigación e Intervención Feminista GIIF (Gruppo di Ricerca e Intervento femminista) e del Gruppo di Lavoro sulle Economie Popolari nel CLACSO, nonché ricercatrice e docente all’Università di Buenos Aires e all’Università Nazionale di San Martín. Nonostante anche lei sia parte del mondo accademico, fin da subito si è posta in una posizione paritaria nei nostri confronti, aperta al dialogo pur essendo lì per presentarci le idee contenute nel suo libro.
Partendo dalle domande di Anna Clara Basilicò, Veronica ha parlato della genesi del movimento e di come questo voglia porsi nel solco tracciato da esperienze precedenti di lotta per i diritti umani con l’intento di rileggere l’oggi anche attraverso il passato. La scelta dello sciopero come mezzo di lotta, antico eppure attuale grazie all’uso che ne fanno oggi donne, migranti e studenti, va in questa direzione. La Gago ha poi messo l’accento su altre due caratteristiche fondamentali di Ni Una Menos: la transnazionalità e la praticità. Su quest’ultimo punto l’attivista argentina è tornata più volte, come volesse fermarlo nella memoria degli ascoltatori. Segnalare e criticare le storture del modello patriarcale e capitalistico non è sufficiente, bisogna proporre modelli nuovi e lottare perché questi vengano adottati. Un esempio su tutti: il linguaggio inclusivo. Pensato, discusso, teorizzato e alla fine, grazie a campagne di sensibilizzazione serrate, adottato da una non trascurabile fetta della popolazione mondiale.
Ovviamente si è parlato anche di violenza di genere. Veronica ha chiarito quanto sia cruciale in questa battaglia la politicizzazione e il boicottaggio della narrazione ufficiale che fa della vittima l’unico soggetto legittimato a parlare di violenza. “Bisogna fare della denuncia uno strumento di lotta” dice “e bisogna parlare di violenza senza parlare di vittime, poiché questo è il modo in cui il potere banalizza la mobilitazione e colpevolizza il movimento”. Il primo passo per smontare la macchina del potere è la riconcettualizzazione della stessa pratica della violenza.
L’ultimo tema emerso è stato quello ambientale. Come la lotta ambientale trova un punto d’incontro con la lotta femminista? Il punto di congiunzione secondo Gago è il concetto di corpo. Se si guarda a livello individuale, ognun* deve rivendicare il possesso pieno e unico del proprio corpo –il corpo è mio-, mentre al territorio invece si deve guardare come ad un corpo collettivo, respingendo ogni forma di approccio individuale possessivo. In questo senso la lotta contro il patriarcato, contro il neocolonialismo e contro il capitalismo si lega alla lotta ambientale e dunque alla lotta femminista.
Alla fine ci sono state alcune domande e interventi. Una ragazza ha chiesto quali strumenti risulterebbero efficaci per imporre una contronarrazione femminista all’interno dell’istituzione universitaria. In risposta Veronica ha delineato una serie di strategie, partendo dalla rilettura e riscrittura della bibliografia, fino all’organizzazione di seminari a tema femminista e laboratori sulla violenza di genere. Più volte ha rimarcato l’importanza della presenza e del lavoro di collettivi e di associazioni mutualistiche, non solo a livello universitario ma sull’intero tessuto sociale, per la loro capacità di riempire i vuoti lasciati dalle istituzioni cercando di imporre visioni femministe a più livelli.
Non poteva mancare una domanda sulla guerra che si sta combattendo in Ucraina. In modo asciutto e conciso la Gago ha posto l’accento su come istituzioni, partiti politici e una larghissima maggioranza dell’opinione pubblica abbia cercato di ridicolizzare la posizione pacifista adottata dalle femministe. Ancora una volta la società patriarcale cerca di silenziare la voce del movimento bollando come ingenue le sue posizioni.
In ultimo è arrivata anche una domanda da remoto sul perché il movimento femminista sia più attivo e soprattutto incisivo in Sud-America. Secondo Veronica questa è una reazione alla ricolonizzazione finanziaria, ma anche l’esito di uno stretto legame con i movimenti del passato, più o meno recente (il nome delle Madres de Plaza de Majo è emerso più volte nel corso dell’incontro). I movimenti femministi occidentali dovrebbero forse cercare di creare maggiore solidarietà attraverso una comunicazione più efficace e pensare ad una nuova forma di prossimità politica che possa garantirgli maggiore incisività d’azione.
L’incontro si è concluso in sordina. La varietà e importanza dei temi emersi e soprattutto la presenza di Veronica avrebbero meritato una platea molto più ampia. Ma già la scelta dell’aula (60 posti al massimo) fa capire qual è lo spazio che si vuole lasciare a incontri di questa natura. Grazie alla Gago e grazie a LiSC per questa discussione preziosa. Speriamo che sia la prima di una lunga lista.
Zoe Battagliarin
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