Il movimento postporno
Quando parliamo di pornografia, secondo il filosofo e attivista queer Paul B. Preciado, ci riferiamo ad “un linguaggio che crea e normalizza modelli di mascolinità e femminilità, generando scenari utopici scritti per soddisfare l’occhio eterosessuale maschile” [1]. La pornografia mainstream è a tutti gli effetti un dispositivo di potere culturale, sociale e politico: attraverso la rappresentazione reiterata di determinati corpi, ruoli e pratiche, essa codifica la sessualità. Il porno stabilisce la norma, mostrandoci quali sessualità siano lecite, quali desideri “normali” e quali soggetti sessualmente desiderabili. Ovviamente, in quanto frutto del sistema capitalista, i codici utilizzati dalla pornografia dominante non possono che essere maschilisti, binari, razzisti e abilisti. È proprio dall’insoddisfazione per questo tipo di porno, e soprattutto dalla necessità di sovvertirne il linguaggio, che nasce il postporno.
Il termine postporno viene coniato nel 1990 dall’artista olandese Wink van Kempen in occasione del nuovo show di Annie Sprinkle “Post Porn Modernist” e non vuole indicare un superamento del porno, bensì un cambiamento di paradigma. Infatti, la performance più celebre dello show, A public cervix announcement, segna un momento di profonda rottura nell'ambito pornografico: Annie Sprinkle siede su una poltrona e, con l’ausilio di uno speculum, espone pubblicamente la propria cervice, invitando gli spettatori ad avvicinarsi e dare un’occhiata. Secondo Annie, “molte persone, sia donne che uomini, conoscono poco l'anatomia femminile e quindi si vergognano o hanno paura della cervice. È triste, quindi faccio del mio meglio per sollevare questo velo di ignoranza. Adoro la mia cervice. Sono orgogliosa di lei in ogni modo e sono felice di metterla in mostra” [2].
Stando alla professora e geografa queer Rachele Borghi:
Questa performance racchiude in sé molte delle caratteristiche che possono essere attribuite al postporno: caduta definitiva della divisione tra pubblico e privato, uso dell’ironia, rottura del binomio soggetto/oggetto, eliminazione del confine tra cultura alta (quella artistica) e bassa (pornografica), coinvolgimento degli/delle spettatori/spettatrici, condivisione pubblica di pratiche collocate nella sfera del privato, denuncia della medicalizzazione dei corpi, rovesciamento e messa in discussione del rapporto sesso/sessualità, uso di protesi (lo speculum in questo caso) [3].
L’obiettivo del postporno non è chiudere con la pornografia, ma raccogliere l’invito di Annie Sprinkle, "If you don't like porn, make your own!". Così facendo, il postporno mina e decostruisce le fondamenta della pornografia mainstream prodotta dagli uomini per gli uomini, dando voce a corpi da sempre esclusi, non conformi, marginalizzati, ritenuti oggetti abietti e indesiderabili, che ora si riappropriano del dispositivo pornografico per rovesciare lo sguardo dominante maschile, bianco, etero ed eurocentrico. Laddove la pornografia mainstream è destinata ad uso e consumo privato, il postoporno, invece, irrompe nello spazio pubblico e se ne riappropria, ponendosi in continuità con l’idea che il personale sia politico e dando forma concreta al movimento di rivoluzione sessuale. Non a caso, la postpornografia affonda le proprie radici nel femminismo pro-sex degli anni ‘70 che, in netto contrasto col movimento abolizionista, nega la concezione del sex work come “oppressione patriarcale” e invita a una riflessione critica, pratica e politica che possa sovvertire la norma.
È a questo punto importante sottolineare che il postporno non è concepito come movimento dalle caratteristiche ben definite, ma come fluida proposta di apertura e dimostrazione di nuovi immaginari che, anziché limitarsi ad eccitarci, ci spingano a metterci in discussione, sperimentare con la sessualità ed interrogarci sul nostro desiderio. D’altronde, le stesse pratiche postpornografiche, per quanto sia difficile, cercano di sradicare codici e convinzioni interiorizzati e sedimentati, domandando “quali sono i corpi degni di provare e provocare piacere? Quali sono i corpi desiderabili e quelli che hanno dignità sessuale? Quali corpi vengono rappresentati e quali sono esclusi dalla rappresentazione sessuale o trattati come soggetti passivi della rappresentazione? Quali sono le pratiche ammissibili e quali non, e su quali basi vengono stabilite?" [4].
In virtù di quanto detto fino ad ora, sembra lecito identificare il postporno con una generica alternativa al porno mainstream. Tuttavia ciò non risulterebbe propriamente corretto: infatti, il porno indipendente, etico, queer, femminista o alternativo rientra in categorie ben delimitate che rispondono ad una definizione precisa. Il postporno, invece, rifugge confini e limitazioni: sono lз stessз protagonistз ad autodefinirsi “postporno”, a volte rifiutando addirittura l’idea di far parte di un movimento omogeneo o di un collettivo con caratteristiche e tendenze comuni.
A questo proposito il sociologo Sam Bourcier sottolinea come:
Il porno femminista, allineato con l’industria pornografica più convenzionale, essendo commerciale, dispone di mezzi di distribuzione e diffusione propri: pagine web, distributori di film, video server, e opera attraverso il lavoro di attrici che cercano di diventare stelle del porno o registe che giocano il loro discorso femminista dentro l’arena dell’industria, immettendo su internet progetti dove la proprietà intellettuale risulta imprescindibile [5].
Tuttavia, il postporno non coincide con uno stile definito o un’estetica particolare, ma, rispondendo ai principi anti capitalistici del DIY [6], si pone come produzione dal basso, con un budget ridotto, che predilige l’anonimato e rifiuta la commercializzazione online, preferendogli performance durante eventi e iniziative autogestite[7]. A questo proposito, come sostiene Lucía Egaña Rojas:
Sappiamo che il Postporno veniva confuso con il porno alternativo, con il porno amatoriale, con il porno casalingo, con l’indie porn…Sappiamo che in alcuni casi le frontiere sono diffuse e non si tratta del fatto che il Postporno non possa essere tutto ciò, ma che non è solo questo. Per noi il Postporno è intrinsecamente femminista o, meglio, intrinsecamente transfemminista, perché sappiamo già che di femminismi ce ne sono molti e noi partiamo da un femminismo prosex e da un soggetto politico cha ve ben oltre la categoria di donna. Il Postporno è intrinsecamente politico [8].
È con piena coscienza politica che il postporno libera i corpi dissidenti e ci permette di sperimentare e costruire pubblicamente nuovi immaginari scevri dallo sguardo dominante.
“Quando assisti ad una performance postporno è probabile che, dopo, niente sia più come prima. [...] Perché ciò che hai davanti a te è così bello, così fuori norma, così eccitante che quando sai che esiste, non ne vuoi più fare a meno” [9].
Se sei interessatə ad approfondire il tema, oltre alle fonti già citate, puoi leggere:
Despentes Virginie, King Kong girl, Torino: Einaudi, 2007.
Preciado B. Paul, Manifesto controsessuale, Roma: Fandango Libri, 2019.
Sprinkle Annie, Post Porn Modernist, Roma: Golena Edizioni, 2005.
Torres Diana, Pornoterrorismo, Roma: D editore, 2021.
Ziga Itziar, Diventare cagna, Roma: D editore, 2022.
Oppure guardare:
Mi sexualidad es una creación artística di Lucía Egaña Rojas (2011)
[4] Valentine aka Fluida Wolf, Postporno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali, Bologna: Eris Edizioni, 2020, p. 26
[5] ivi, p. 52
[6] Il termine DIY è l’acronimo per “Do it yourself”, con cui ci si riferisce ad un'etica anticonsumista
nata e diffusa all'interno della cultura punk, che propugna il rifiuto per le major della distribuzione musicale, ritenute capitaliste, e la formazione di etichette indipendenti con cui pubblicare i propri album.
[7] Qui faccio riferimento ad eventi come il Pornfilmfestival Berlin, il Fish&Chips di Torino, l’Hacker Porn Film Festival di Roma e la celeberrima Muestra Marrana tenutasi a Barcellona dal 2007 al 2015.
[8] ivi, p. 53
[9] Rachele Borghi, Decolonialità e privilegio, Milano: Meltemi Editore, 2020.
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